Sorgono molte perplessità quando si parla di sfruttare o utilizzare materiali provenienti da aree lontane ancora dalla "civilizzazione", o meglio dall'occidentalizzazione, come i PVS. Si affronta un tema che spazia dall’etica al calcolo dell’impatto reale della produzione umana sull’ambiente. Ci si trova di fronte ad un conflitto di tipo socio-economico: potrebbe essere controproducente schedare i materiali, i semilavorati e le maestranze di paesi lontani, per far sì che questi diventino le nostre future miniere sovrasfruttate?


Sicuramente un punto forte, che la sostenibilità supporta, e la diversificazione: creare una banca che raccolga tanti materiali, nelle diverse lavorazioni possibili, non può che aiutare la diffusione di questo tipo di mentalità. Quello che è sicuro è che per avere un materiale prodotto in uno di questo Paesi si deve ricorrere a modalità d’importazione che vanno sicuramente a gravare sul valore economico del manufatto all’origine? Gli artigiani africani, in questo caso, sarebbero ricompensati del loro lavoro in modo alquanto misero. Ovvio che questo non dipende da noi, che vorremmo fare tutt’altro, ma dalle attuali logiche di mercato, che portano a recuperare mano d’opera a basso costo per poter guadagnare, dai prodotti venduti, il più possibile.


Molte associazioni, onlus ed organi internazionali ignorano i principi di bioreginalità e di facile reperibilità (a Km 0) dei prodotti, con il solo intento di incrementare un'economia nei PVS. Alcune volte vengono create delle cooperative in loco (e questo è positivo) “migliorando” la vita dei popoli del terzo mondo, ma viene instaurata una produzione essenzialmente improntata sulle esigenze degli “occidentali”. E che autonomia gli si dà in questo modo, ai PVS?


Il progetto che il Laboratorio propone e sostiene, in Africa, punta alla creazione di manufatti (oltre che a lavorazioni della terra) che siano prodotti in loco come anche impiegati nelle stesse campagne. In questo modo non ci sono passaggi di mano, in cui i prodotti danno adito a speculazioni. Per di più, parlando di ecologia spiccia, la Materia sottratta alla terra (anche se si parla di rifiuti, organici) è bene che si allontani il meno possibile dal luogo di nascita. Solo così si assicura “la chiusura del cerchio” (per citare una fonte autorevole, Barry Commoner 1971), e si evitano sottrazioni indebite in territori già fortemente gravati da una non felice situazione climatica ed ecosistemica. Sì, perché quando parliamo di semilavorati del sud del mondo, non possiamo che fare riferimento alle fibre vegetali, o comunque ai materiali naturali: argilla, gommoresine, pelli animali. Tutte cose che dovrebbero essere impiegate al posto di plastiche ottenute chimicamente, ma che però non dovrebbero finire per deturpare un equilibrio già precario. Se voglio utilizzare un gran numero di fibre, dovrò ricordarmi di piantare altrettante (minimo) piante che le riproducano. Questo viene già fatto, per gli alberi, in cambio di lego nuovo? Certo, ma non abbastanza. Il deficit di biomassa è arrivato a livelli allarmanti, tanto da causare un problema non paragonabile alla nostra isterica crisi economica.


Si potrebbe pensare ad un modo per certificare l’operazione di recupero di materia che viene fatta?

Per essere chiari, facciamo un esempio: se voglio l’interno della mia barca in fibra di Hyphaene Thebaica intrecciata, ordinerò ad una ditta di contattare il produttore di questo semilavorato. Con ciò, pagherò un prezzo maggiorato perché sia garantita la riproduzione della stessa pianta. Una riproduzione che, con un equo calcolo, assicuri la stessa copertura vegetale che c’era prima della soppressione di quelle foglie.


Le strade sono tante, le alternative possibili (e sostenibili) alla strada più semplice, ossia quella dello sfruttamento incondizionato dei materiali e dei popoli, perpetuata da secoli dall'uomo "evoluto", esiste. Abbisogna di una forte capacità organizzativa, rispettosa dei processi biologici della natura e di quelli culturali delle popolazioni che si vedono interpellate. Una sfida complessa, insomma, che mi auguro venga affrontata considerando il maggior numero possibile di opinioni.


Ecco alcune immagini di prodotti e profilati provenienti da nostre aree di interesse. Questi sono i relativi Paesi di provenienza:


Mali (Africa)

Marocco (Africa)

Brasile (SudAmerica)


Se vuoi aiutarci ad incrementare questa raccolta, inviaci le tue ricerche. Saremo felici di condividere le nostre conoscenze e di trovare assieme una modalità equa per poter sostenere o alimentare la cultura che li ha prodotti.